Autore: avv. Maurizio Libretti
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19 aprile 2020
Come noto allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, con successivi provvedimenti del Presidente del Consiglio (gli ormai purtroppo ben noti “DPCM”) è stato imposto a tutte le persone fisiche il divieto di spostamento, salvo che motivato da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o di salute, dapprima in entrata e uscita e all’interno della Regione Lombardia e di altre 14 province c.d. “rosse” (DPCM 08.03.2020), e successivamente in tutta Italia (DPCM 09.03.2020). Con successivo DPCM 22.03.2020 è stato poi sancito il “divieto di trasferimento o spostamento ad altro Comune, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute”. Non è infrequente, in questi giorni, ricevere richieste di genitori separati in cerca di informazioni su come comportarsi nelle visite con i figli. In molti si sono già chiesti che cosa succeda alle famiglie in cui papà e mamma vivono in case diverse e magari in Comuni diversi: possono i genitori spostarsi per recarsi a prendere i figli o riportarli dall’altro genitore? Consultando le FAQ pubblicate sul sito del Governo, si legge che “Gli spostamenti per raggiungere figli minorenni presso l’altro genitore o per condurli presso di sé sono consentiti in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o di divorzio”. Ma che ne è dei genitori che vivono in case diverse e i cui accordi relativi alle modalità di visita ai figli non sono state disciplinate da alcun provvedimento del giudice? E che succede se il genitore che si è allontanato dalla casa familiare, temendo di non riuscire a vedere i figli, decida di ritornarvi? Papà e mamma stanno affrontando con fatica e sofferenza il percorso verso il raggiungimento di accordi volti alla ri-organizzazione della famiglia, guidati dalla comune intenzione di trovare un nuovo assetto familiare che consenta ai loro bambini di mantenere una stabile e valida relazione con entrambi i genitori. Per facilitare il dialogo ed evitare momenti di tensione e liti davanti ai bimbi, papà ha trovato un appartamento in affitto in un Comune limitrofo rispetto alla casa familiare, l’ha reso confortevole e adatto ad accogliere i figli e, d’accordo con la mamma, vi si è trasferito da circa sei mesi. I genitori si sono accordati provvisoriamente in modo tale che i bambini possano già trascorrere del tempo con il padre, presso il quale soggiornano dal venerdì alla domenica a weekend alternati e il mercoledì sera fino alla mattina successiva quando il papà li accompagna a scuola. L’accordo in tal modo assunto, tuttavia, non è stato formalizzato in alcun modo e, tantomeno è oggetto di un provvedimento del giudice. I genitori del caso ipotizzato, così come tutti i genitori che in questo momento stanno vivendo situazioni analoghe, si devono confrontare con le norme restrittive emanate dal Governo al fine di contenimento e contrasto della diffusione del virus Covid-19. I provvedimenti che si sono susseguiti in questo mese di marzo non hanno stabilito espressamente nulla con riferimento agli spostamenti finalizzati a consentire ai minori di trascorrere il tempo con papà e mamma che vivano in case diverse. Il DPCM 08.03.2020 ha stabilito per tutte le persone fisiche il divieto di spostamento, salvo che motivato da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o di salute in entrata e uscita e all’interno della Regione Lombardia e di altre 14 province c.d. “rosse”, divieto esteso con successivo DPCM 09.03.2020 a tutta Italia, ferma in ogni caso la facoltà di rientro alla propria residenza o domicilio. Con ulteriore limitazione alla libertà di movimento delle persone, il successivo DPCM 22.03.2020 ha sancito il “divieto di trasferimento o spostamento ad altro Comune, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute”, mantenendo, per gli spostamenti all’interno del territorio del Comune la precedente disciplina, ed escludendo esplicitamente la facoltà di rientro al domicilio o residenza. Se, dunque, per muoversi all’interno del Comune è sufficiente addurre la sussistenza di una “situazione di necessità”, per uscire ed entrare da ogni Comune è richiesto che ricorra una “esigenza di speciale urgenza” ed in ogni caso non è ammesso il rientro alla propria residenza o domicilio se non motivato dalle specifiche ragioni di cui sopra. Con provvedimento reso immediatamente dopo l’entrata in vigore del DPCM 9.3.2020, a seguito di ricorso d’urgenza di una madre che chiedeva il rientro immediato dei figli presso di sé ed una limitazione del diritto di visita dell’altro genitore in conseguenza della restrizione di movimento imposta dal Governo, il Tribunale di Milano ha rilevato come il Decreto “♯Iorestoacasa”, non vietando il rientro al domicilio o residenza, non potesse dirsi preclusivo delle disposizioni di affido e collocamento del minore, sottolineando altresì come il governo nella proprie FAQ avesse chiarito che “gli spostamenti per raggiungere figli minorenni presso l’altro genitore o per condurli presso di sé sono consentiti in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o di divorzio” (Trib Milano, 11.3.2020). L’esplicita soppressione, per effetto del successivo DPCM 22.03.2020, della previsione secondo la quale è in ogni caso consentito il rientro presso il domicilio o residenza, in combinato con l’introduzione di un preciso divieto di spostamento (art. 1, lett. b, DPCM 22.03.2020: “è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi…”), in luogo dell’indicazione ad “evitare ogni spostamento” (art. 1, lett. a, DPCM 08.03.2020), rende lecito il domandarsi se dal dictum del Tribunale di Milano possano essere tratte indicazioni utili anche a seguito del mutamento della disciplina dell’emergenza. Non solo, infatti, è venuto espressamente a mancare il richiamo normativo alla possibilità di rientro al domicilio o residenza, ma – per quanto riguarda gli spostamenti al di fuori del Comune – è venuta meno anche la possibilità di motivare il proprio spostamento adducendo l’esistenza di ragioni di necessità – tra le quali certamente anche quella di visitare o portare presso di sé i figli -, sostituita dalla ben più stringente indicazione della “speciale urgenza”. Vero è che l’art. 51 c.p. prevede che “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”: ed infatti il Governo, nelle FAQ pubblicate sul proprio sito istituzionale, ha precisato espressamente che gli spostamenti effettuati dai genitori in conformità dei provvedimenti assunti dal giudice della separazione o del divorzio sono in ogni caso ammessi, e dunque non punibili. E ciò, dunque, ragionevolmente, quand’anche portino il genitore non collocatario a spostarsi al di fuori del Comune dove egli si trovi. E ciò, anche quando le modalità di permanenza dei minori presso ciascuno dei genitori non siano contenute in una sentenza che pronunci la separazione o il divorzio o nel decreto che omologhi gli accordi tra i coniugi, ma in un accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita, stante che il comma 3° dell’art. 6 del D.L. 132/2014, convertito in Legge 162/2014, prevede che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. Non così chiara, al contrario, la situazione di quei genitori che abbiano solo provvisoriamente pattuito le modalità di visita ai figli, magari senza alcuna formalizzazione delle stesse, o che si siano anche solo temporaneamente allontanati per un momento di riflessione. L’esigenza di mantenere un rapporto costante con entrambi i genitori sembra certamente integrare quella situazione di necessità per i minori che rende lecito lo spostamento dei medesimi e dei genitori stessi all’interno del Comune, e probabilmente anche quei “motivi di salute” che consentono lo spostamento anche al di fuori del Comune di residenza. Come è stato già puntualmente rilevato, è certo che il diritto del minore ad una valida e costante presenza di entrambi i genitori è principio che deve informare di sé ogni provvedimento legislativo e, dunque, l’interpretazione dello stesso. Il diritto alla bigenitorialità è posto infatti non solo dagli artt. 315bis e 337ter c.c., ma anche dall’art. 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, la quale Convenzione all’art. 3 pone in generale il principio del best interest of child quale principio informatore di ogni decisione relativa al minore. L’art. 8 della CEDU prevede che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”, tanto che non può esservi in essa alcuna ingerenza, salvo che tale ingerenza “sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Nella valutazione della possibilità per i genitori che vivano separati di spostarsi per andare a trovare o prendere i propri figli per portarli presso di sé, senza incorrere in sanzioni, dovranno dunque essere bilanciati, da un lato, l’imprescindibile diritto del minore a poter contare su una continuativa relazione anche in presenza con entrambi i genitori e, dall’altro, la necessità di salvaguardare l’integrità fisica del minore stesso, non esponendolo a maggiori rischi di contagio collegati allo spostamento, nonché la necessità di salvaguardare la salute pubblica, limitando al massimo gli spostamenti non necessari. La valutazione delle ragioni di necessità, così come quelle di speciale urgenza, nonché dei motivi di salute, è alla base dell’irrogazione delle sanzioni previste dall’art. 1 D.L. 25.03.2020 n. 19 che, innovando la precedente disciplina, ha escluso l’applicabilità dell’art. 650 c.p., prevedendo, per il caso di violazione del divieto di spostamento delle persone fisiche, sanzioni amministrative pecuniarie da 400 a 3.000 euro, aumentabili fino ad un terzo nel caso in cui la violazione sia avvenuta mediante l’utilizzo di un veicolo. Particolarmente importante sarà dunque poter attestare, “comprovare”, la sussistenza delle ragioni che possano sostenere la necessità o l’urgenza dello spostamento, il fatto cioè che quello spostamento nel corso del quale il genitore è fermato dagli agenti di polizia è motivato con la necessità di andare a prendere il figlio non convivente: in assenza di un provvedimento che attesti il diritto del genitore a tenere con sé il figlio il mercoledì sera, ad esempio, non potrebbe infatti essere facilmente verificato che il genitore si stia spostando proprio al fine di ottemperare a quanto previsto. Il genitore dovrà dunque essere in condizione di attestare l’esistenza di una situazione di separazione, la presenza di figli minori, nonché la residenza o il domicilio dei genitori in due diverse abitazioni, oltre che l’esistenza di accordi che regolano il diritto di visita del genitore non collocatario. Molte possono essere, tuttavia, le situazioni in cui i genitori non siano in condizione di produrre un provvedimento di separazione o di divorzio dal quale risultino le modalità di permanenza dei minori presso ciascuno dei genitori. Pensiamo al caso di un procedimento per separazione giudiziale per il quale non vi sia ancora stata l’udienza presidenziale, e dunque non vi sia alcun provvedimento provvisorio, o ad accordi contenuti in un ricorso per separazione consensuale depositato e in attesa di fissazione di udienza. Entrambe situazioni sulle quali incide la sospensione dal 9 marzo al 15 aprile delle udienze e dei termini processuali di cui all’art. 83, comma 3, lett. a) D.L. 17.03.20202 n. 18. Si pensi anche all’ipotesi in cui i genitori abbiano sottoscritto il ricorso contenente gli accordi di separazione, ma tale ricorso non sia ancora stato depositato; o all’ipotesi in cui sia stato sottoscritto l’accordo di negoziazione assistita senza che lo stesso sia stato trasmesso al procuratore della Repubblica (trasmissione che, peraltro, dovrebbe avvenire ad opera degli avvocati entro 10 giorni dalla sottoscrizione, termine che potrebbe ipotizzarsi essere altrettanto sospeso in virtù del medesimo art. 83 D.L. 18/2020). Entrambe fattispecie nelle quali i genitori potranno disporre di, e mostrare nel momento dell’eventuale controllo, un accordo sottoscritto dagli stessi e controfirmato dagli avvocati che li assistano nella procedura. Così come potranno mostrare un accordo, anche provvisorio, i genitori che siano assistiti da avvocati nell’ambito di una procedura collaborativa, allegando anche il contratto di partecipazione sottoscritto in fase di adesione alla procedura. Ma si può pensare anche a genitori che stiano seguendo un percorso di mediazione familiare e che magari stiano già attuando modalità di visita ai figli concordate durante gli incontri di mediazione: in tal caso, i genitori non disporranno di alcun documento se non il contratto di partecipazione alla mediazione familiare, oltre che l’eventuale accordo informale scambiato tra gli stessi e senza alcuna sottoscrizione da parte del mediatore. Queste alcune delle ipotesi e dei comportamenti che potrebbero essere utili al fine di comprovare le ragioni dello spostamento: ma se il genitore che si è allontanato dalla casa familiare decidesse di farvi ritorno per non rischiare di non poter vedere i figli fino al termine del lockdown? In altri termini: quando il genitore che lascia la casa familiare ha diritto a ritornarci? Esiste un diritto dei coniugi alla coabitazione, oltre un dovere in tal senso? Se è chiaro, infatti, che il provvedimento che abbia assegnato ad uno dei genitori la casa familiare (o l’accordo omologato, ovvero contenuto in un accordo di negoziazione assistita autorizzato dal PM) dovrà essere rispettato ed è dunque da escludere che il genitore non assegnatario possa imporre il proprio ritorno nella casa familiare, occorre soffermarsi sull’eventuale efficacia vincolante degli accordi non omologati ma semplicemente sottoscritti dai coniugi. L’accordo tra i genitori circa la permanenza dei minori presso ciascuno ha certamente un contenuto non completamente disponibile per le parti, considerando che ai sensi dell’art. 158 c.c. il giudice può rifiutare l’omologazione – previa riconvocazione dei coniugi – quando ritenga che gli accordi siano contrari agli interessi dei minori; analogamente, ai sensi dell’art. 6, comma 3°, D.L. 132/2014 (convertito con modifiche in L. 162/2014), in presenza di figli minori, l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita deve essere trasmesso al procuratore della Repubblica, il quale lo autorizza se ritenuto corrispondente agli interessi dei minori. La Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla validità di pattuizioni precedenti al decreto di omologa e non trasfuse negli accordi poi omologati, ha specificato che le stesse possono ritenersi efficaci unicamente se riguardino un aspetto non regolato dall’accordo poi omologato e certamente compatibile con esso, ovvero siano meramente specificative, ovvero ancora si pongano rispetto agli accordi omologati “in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo di cui all'art. 158 cod. civ” (C. 20290/2018; nello stesso senso da ultimo, T. Livorno 7.2.2018). Con sentenza 24621/2015 la Suprema Corte di cassazione, rilevato come il legislatore abbia negli ultimi anni attribuito ampia rilevanza all’autonomia negoziale tra i coniugi, e come all’interno degli accordi di separazione debbano essere tenuti distinti contenuti necessari (affidamento figli minori, assegnazione casa coniugale, mantenimento dei figli e del coniuge debole) accanto a contenuti solo eventuali (definizione di altri rapporti patrimoniale o personali tra i coniugi), ha riconosciuto all’accordo avente oggetto diritti patrimoniali dei coniugi effetti direttamente vincolanti tra gli stessi senza necessità di sottoporre l’accordo al giudice per l’omologazione (in senso contrario, C. 9174/2008). Nonostante si assista certamente ad un progressivo riconoscimento di un sempre più ampio margine all’autonomia privata nei rapporti familiari, si deve ritenere che gli accordi dei coniugi circa i tempi di permanenza di ciascuno con i minori, compresa la determinazione di quale genitore resti nella casa familiare con questi ultimi, non possano ritenersi vincolanti a prescindere da un controllo giudiziario (o del PM) circa la rispondenza degli stessi rispetto agli interessi superiori dei minori. Ma l’accordo dei coniugi di vivere separati e cioè di allontanarsi l’uno dall’altra è vincolante a prescindere dal controllo giudiziario? Da un lato, infatti, l’art. 160 c.c. espressamente vieta ai coniugi di derogare ai diritti e doveri nascenti dal matrimonio, tanto da poter ritenere che il patto stipulato tra di essi circa la cessazione della coabitazione debba essere considerato alla stregua di un esonero dal dovere di coabitazione, il cui rilievo altro non sia se non quello di rappresentare una valida giustificazione per il coniuge che abbia lasciato la casa coniugale, con ciò escludendo la pronuncia di addebito a suo carico. D’altro canto, nelle ipotesi in cui si sia verificata l’effettiva cessazione di quella comunione materiale e spirituale che costituisce l’essenza del matrimonio e tale volontà sia comune ad entrambi, in quanto tacitamente o espressamente manifestata, la separazione procederebbe dal solo consenso dei coniugi, rilevando l’omologazione quale mera condizione legale di efficacia (C. 10932/2008), con l’ulteriore conseguenza che il consenso non potrebbe ritenersi unilateralmente revocabile (in senso contrario, tuttavia, C. App. Reggio Calabria 2.3.2006). Una volta ammesso che l’accordo circa la cessazione della convivenza produca l’effetto di rendere non revocabile unilateralmente lo stesso, si dovrebbe giungere alla conclusione che uno dei coniugi non possa costringere l’altro a ripristinare la stessa e, dunque, pur nella situazione emergenziale attuale non sia obbligato a “riprendersi in casa” l’altro. Ferma, pur sempre, l’impossibilità di ritenere coercibile l’accordo e fermo che, anche consentendo la ripresa della coabitazione, non per ciò si potrà dire accertata la riconciliazione, la quale non può ritenersi ripristinata “per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontro e di frequentazione, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali” (C. 20323/2019).